La Brasserie Sainte Helene elogia la bellezza femminile.
Ricordo bene il primo incontro con la Brasserie Sainte Helene. Non è stato un incontro a colpi di birra, a dire la verità, ma qualcosa di molto buono è accaduto lo stesso. Era il giorno della mia visita all’Hop Museum nel Poperinge belga. Nella sala dedicata all’esposizione di tutto l’armamentario brassicolo belga il mio sguardo è stato catturato dalla beltà di etichette birrarie tutte al femminile. Indagando vengo a scoprire che si tratta di tale Brasserie Sainte Helene.
I numeri sono da cavallo di razza.
La Brasserie Sainte Helene non è un birrificio dell’ultima ora. I numeri parlano chiaro: impianto di produzione da 25 hl e macchina per imbottigliamento che viaggia al ritmo di 2.500 bottiglie per ora. In tutto 100.000 litri ogni anno, pari a 13 mila bottiglie da 75 cl.
La Brasserie mette radici lontano nel tempo.
Ci troviamo nell’area sud del Belgio, nel cuore della regione chiamata Gaume. L’area possiede un microclima unico, talmente eccezionale da aver ricevuto l’appellativo di “piccola Provenza Belga”. Il birraio, Eddy Pourtois, dà vita alle sue prime creature nel 1995 ma è solo nel 1999 che viene avviata la produzione regolare da 3 hl. Nel 2003 il primo trasferimento per soddisfare la crescita della domanda, al quale ne faranno seguito un secondo (2005) e un terzo (2009), arrivando a quota 14 hl. L’anno della svolta è però il 2011: nasce l’attuale nome e le etichette vengono riviste dall’agenzia grafica Atelier Design, che dona loro uno stile fresco e accattivante.
Etichette al femminile, dicevamo? Eccole!
La prima è una delicata Belgian Blonde chiamata Mistinguett: 6,5% abv, 36 IBU, luppoli Brewers Gold e Pioneer.
Lily Blue sembra tenera ma in realtà ha carattere da vendere. Si tratta difatti di una Belgian Strong Ale da 7,5 gradi alcolemici e 36 IBU, prodotta con luppoli Brewers Gold e Perle.
Gypsy Rose è una Tripel da ben 9 gradi. Una birra il cui sguardo cattura e induce in peccaminosa tentazione. Di fronte a lei è facile perdere la testa. La massiccia muscolatura è ben mascherata dalle sue procaci rotondità maltose. E’ pericolosamente beverina ed è consigliabile affrontarla in condizioni di grazia. In caso contrario il capitombolo etilico è assicurato. I luppoli? Brewers Gold e Strisselspalt.
Altra Blonde Ale, La Grognarde presenta un profilo leggermente più secco e pepato apportato dal diverso impianto luppolino (Brewers Gold e Saaz).
La Prime (di fine anno) è una Belgian Strong Ale nella quale si mescolano armoniosamente luppolo, caramello e tostature, più una punta di acidità da caffè. La Prime è una birra a carattere stagionale prodotta per affrontare al meglio il freddo. 8,5 gradi sono abbastanza?
Non poteva ovviamente mancare “la nera”. Dedicata a tutti coloro i quali non riesco a resistere al fascino afro, ecco Black Mamba, una Stout generosamente luppolata, nera ma sempreverde – 4,3 gradi la rendono adatta a ogni momento della giornata.
Ultima birra della casa è un vanitoso Barley Wine. Un Barley Wine sui generis, a dire la verità, visto che presenta anche lui una copiosa luppolatura. Questa variante luppolata, insieme alla caratteristica “botta” alcolica (10% abv), danno vita a una sorta di Triple IPA estremamente pericolosa. Maneggiare con cura: graffia!
Alla Brasserie Sainte Helene devono avere un debole per le belle donne. Adesso anche io.
Conoscevi già la Brasserie Sainte Helene? hai provato le sue birre? ti piacciono le sue etichette al femminile?
